sotto controllo per non scappare da Dubai- Corriere.it

di Stefano Montefiori

Si dice che il furto della figlia dell’Emiro di Dubai, ora rilevato dalla famiglia, si sia fermato a causa delle intercettazioni con il software israeliano.

La chiamata a Software Pegasus potrebbe spiegare il fallimento del tentativo di fuga della principessa degli Emirati Arabi Uniti Latifa Al-Maktoum, una delle ragazze dall’emiro di Dubai, Mohamed Ben Rachid Al-Maktoum. Nel febbraio 2018, la principessa Latifa, 32 sembrava vicino al sogno di lasciare gli Emirati e chiedere asilo politico negli Stati Uniti. Molto ricca ma di fatto prigioniera nello stato governato da suo padre, Latifa si era rivolta a un ex agente di servizio francese, Herv Jaubert, uomo d’affari e skipper della barca a vela Nostromo.

Il piano di evacuazione era complesso e apparentemente ben congegnato: Latifa si è nascosta nel bagagliaio di un’Audi Q7 e ha attraversato il confine con l’Oman. Poi è salita su una Jeep che l’ha portata sulla costa, dove un gommone l’ha portata al largo. Infine, una moto d’acqua lo porta a Nostromo, che lo attende al di fuori delle acque territoriali, e che è pronta a dirigersi verso lo Sri Lanka, primo Paese ospitante per il trasferimento negli USA.

Il primo atto di fuga è stato l’abbandono del cellulare nei bagni del ristorante La Serre, a Dubai, nella speranza di non essere geolocalizzati. Oggi, i risultati dell’indagine di sedici media internazionali coordinati dalla onlus Forbidden Stories sull’abuso del software Pegasus sembrano indicare che a poche ore da questo gesto, il numero della Principessa Latifa è stato inserito nell’elenco Pegasus, e soprattutto che fossero verificati tutti i suoi contatti. Conversazioni, email, messaggi WhatsApp, Telegram, tutti i dati presenti sui cellulari del suo entourage e quindi della squadra che lo ha aiutato a fuggire: il suo allenatore di paracadutismo Juan Mayer, la sua amica Lynda Bouchikhi, l’insegnante di matematica Sioned Taylor, l’istruttrice di capoeira finlandese Tiina Jauhiainen.

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Così una notte, mentre la Nostromo si avvicinava a Goa in India e tutti a bordo dormivano, le forze speciali indiane aiutate da quelle degli Emirati hanno preso d’assalto lo yacht, usando fumogeni e puntando mirini laser sui volti degli occupanti. La preghiera della principessa Latifa – Uccidimi qui ma non riportarmi indietro – non è stato concesso.

Tre anni dopo, Latifa riappare in una foto scattata a Dubai, ai tavolini di un bar di un centro commerciale con la sua amica Sioned Taylor, forse una risposta indiretta all’Alto Commissario delle Nazioni Unite che ha chiesto agli Emirati Arabi Uniti una prova dell’esistenza di Latifa nella vita. Si scopre che è stato Anche Haya Al-Hussein è stata messa sotto controllo tramite il software Pegasus, sesta moglie dell’emiro di Dubai, padre di Latifa, e figlia del re Hussein di Giordania. A differenza di Latifa, la principessa Haya riuscì invece a fuggire in Gran Bretagna con i due figli dell’emiro al-Maktoum, che si appellò alla giustizia britannica per denunciare il rapimento dei suoi figli. Il processo, nel marzo 2020, si è trasformato in un atto d’accusa per i metodi violenti dell’Emiro. Al Maktoum è stato ritenuto responsabile dell’incarcerazione di sua figlia Latifa, e anche del rapimento dell’altra figlia Shamsa che era fuggita dalla villa di famiglia vicino a Cambridge ma era stata catturata dagli agenti inviati dall’emiro.

22 luglio 2021 (modificato il 22 luglio 2021 | 14:41)

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