Il Foto pubblicato da Clarinetto dal luogo dove Diego ha vissuto le sue ultime ore, ammesso che fosse vivo, ci dicono tutti questi pettegolezzi inutili. Ci vuole il dono per dire come Diego. Pochi di loro ce l’hanno. Queste immagini lo dicono. La grandezza e la miseria. Lo stesso uomo. Una casa a picco sul lago, in contrada San André di Tigre, lotto 45. Più che una casa, la sistemazione di un campo che organizza i suoi ultimi faticosi patti con la vita. Mobili sparsi, mal fatti, di quelli che i poveri comprano a rate per l’eternità, sicuri che dureranno almeno il tempo della loro vita residua. Il pavimento in resina o plastica di terza categoria, il colore del vomito. Un divano letto economico, buono per le cimici dei letti di lusso e quel che resta del Pibe, il doppio materasso, la triste TV da 32 pollici, un bagno chimico, una stanza dei giochi quando non c’è più niente da giocare. Una poltrona ancora più triste con massaggio integrato, quella che in molti casi sostituisce l’abbraccio e le carezze di una donna, probabilmente l’ultima che ti verrà data. C’è un piano superiore, più comodo e spazioso, ma inaccessibile alle ginocchia rovinate Maradona. Quello che era caduto più volte nella sua vita ma che ora, dopo l’intervento al cervello, non poteva permettersi di cadere. Salire una scala? L’equivalente dell’Everest.
L’immagine della cucina
Ma quello che conta di più è l’immagine della cucina. Le tue sinapsi non riescono a montare la stella planetaria, celebrata da folle e capi di stato, la stella che osservava dai palazzi presidenziali e dalle suite pentastellate degli hotel, con quell’armadio opprimente dove galleggia una vecchia caffettiera, un thermos bluastro, orribili ciotole, una stufa da combattimento, ai suoi ultimi fuochi. Sei lì per declamare l’inevitabile stupore, l’evidente indignazione, ma poi ti accorgi col tempo che la miseria di Diego era la sua grandezza. Cosa lo ha reso unico e insostituibile. Ad essere onesti, lealtà commovente, irriducibile alle sue radici. Al suo piccolo mondo antico di Villa Fiorito, un nome che la dice lunga su quanto si possa essere crudeli nell’attribuire un nome. Il quartiere in cui è cresciuto. Niente fogne, niente luci, strade il minimo indispensabile per i corrieri della droga. Ma, in queste case ai margini della capanna, Diego deve aver conosciuto una sorta di felicità, un frugale pirotecnico tra i piedi di un padre analfabeta ma con un cuore grande come una casa e una madre che lo amava come nessun altro. altra donna.
In Messico
Richiedi un Diego se trovi un modo per comunicare con lui: dove hai vissuto i migliori giorni dell’inferno negli ultimi anni, dove le ore più tranquille? Non esiterà: “Nelle due stagioni ho allenato i ‘Dorados de Sinaloa’, un club messicano di Serie B”. Tutti. Abbiamo annuito alla notizia: è andato nella terra di Chapo e narcos come Pinocchio nella terra dei balocchi. Festeggiare. Guardalo e rimani stupito “Maradona in MessicoLa serie Netflix e finalmente scoprirai chi è Maradona, dopo averlo celebrato per quello che non è. Un ragazzo che, alla fine della sua vita, stava cercando l’unica cosa che aveva veramente perso. Il suo mondo piccolo, semplice e antico.
“Ninja pancetta. Guru del caffè per tutta la vita. Drogato di cibo malvagio. Aspirante risolutore di problemi. Creatore tipico.”
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