“Anche i miei figli hanno preso la funivia” – Corriere.it

“Perché i bambini sono l’unica cosa che conta, sono creature fragili e dobbiamo prenderci cura di loro”. Durante il suo discorso inaugurale, il presidenteGigi nerini era commosso. Non importa più, perché l’enormità di quanto accaduto elimina ogni sfumatura. È la macchia più oscura di questo disastro e tale rimarrà. Ma le cose sono sempre più complicate di quanto sembrano, proprio come le anime delle persone.

Volontari

L’uomo che è oggi accusato di un crimine infame che gli è costato la vita quattordici persone, tra cui due bambini, è la stessa persona che, vent’anni fa, ha contribuito a fondare insieme il Verbania Chapter of Kiwanis, l’organizzazione globale di volontari il cui motto è “Aiutare i bambini in tutto il mondo”, a portare di tasca propria una serie di progetti di beneficenza . Ora sai come vanno le cose, sulle rive del Lago di Stresa, incontri diversi suoi compagni imprenditori pronti a dire che lo stava facendo per darsi un tono, per entrare in una sorta di Rotary per i poveri. Rivolgendosi ai pochi amici che non lo negano e ad alcuni familiari, il ritratto di una vita spesa a inseguire lo status, con l’eterna angoscia di un’affermazione personale che andava oltre la dichiarazione dei redditi e lo accompagnava con una più florida storia familiare. Il suo benessere era piuttosto precario, reso ancor più certo dai quindici mesi della pandemia che aveva chiuso il rubinetto alla sua unica fonte di reddito, costringendolo ad ipotecare i suoi beni personali, a cominciare dalla casa di famiglia.



READ  Terremoto di Amatrice, solo il 6,5% delle case è stato ricostruito dal 2016
La montagna

La funivia e il Mottarone, la montagna su cui è cresciuto, erano ciò che aveva lasciato. Aveva smaltito le merci che suo padre aveva ottenuto dal ministero dei trasporti dopo la chiusura della ferrovia a cremagliera. A Stresa è ancora presente il rudere del vecchio rifugio, in stato di abbandono. “Il lago appartiene ai ricchissimi e ora non ci sono più posti liberi”, ha detto qualche mese fa. “Per lo sviluppo del turismo c’è spazio solo ai vertici”. Ma era giunto a queste conclusioni quasi per sottrazione. Quando le cose andavano bene, aveva rischiato almeno due volte di perdere questa concessione ereditata dal padre e mantenuta presso i buoni uffici del Comune di Stresa proprio a causa della negligenza con cui gestiva la struttura. Ne ha sentito parlare lunedì mattina Andrea Lazzarini, l’editore che gestisce da solo il sito della funivia. Dovevano mettersi d’accordo su due righe per mettere in linea, una dichiarazione che non fosse solo la cessazione delle attività. “Vado avanti e indietro in questa cabina tutto il giorno”, gli disse. “Se avessi saputo che c’era qualcosa di pericoloso, non avrei mai rischiato la vita dei miei figli”. La mattina del disastro salirono in vetta Federico e Stefano Nerini, che iniziarono entrambi a collaborare con l’azienda del padre. “Potrebbero essere stati lìHa detto al suo amico. È stato dimostrato. Non ha aggiunto nient’altro. Solo che aveva capito. Era finita, anche per lui.

Stazione di arrivo funivia del Mottarone: sopra com'era fino all'estate scorsa;  sotto come appare oggi dopo il trucco dell'autunno 2020
Stazione di arrivo funivia del Mottarone: sopra com’era fino all’estate scorsa; sotto come appare oggi dopo il trucco dell’autunno 2020

READ  i quattro scenari del ministero in una lettera alle Regioni
Il padre

Suo padre Mario era un uomo autoritario, che imponeva una scatola senza sconti. A diciassette anni, mentre studiava ancora al Liceo Scientifico di Verbania, ha iniziato come operaia nell’azienda tessile di famiglia, fallito nel 1987. Ha poi lavorato come autista nella società Autoservizi Nerini fondata dal nonno. di cui porta il primo nome, che non è mai stato un colosso. Si sviluppò tra le due guerre con il trasporto dei familiari che salivano da Verbania all’Eremo, il sanatorio della tubercolosi sul monte Zeda. A cavallo degli anni Ottanta e Novanta ha raggiunto un massimo di trenta autobus di linea e turistici. Nel 1997 l’azienda di famiglia è stata ceduta alla concorrenza. I Nerini non appartenevano alle grandi famiglie di Stresa, proprietarie di hotel famosi in tutto il mondo. Gli spicchi più grandi del turismo lacustre non sono mai stati i suoi. “Quello che è riuscito a cavarsela, che ha graffiato il muro con le mani, coltivando relazioni, provando in tutti i modi, ma senza mai riuscirci”. Piero Vallenzasca, già consigliere comunale di Stresa, rappresentante della nostra Italia, elimina così uno dei suoi storici nemici. E a volte la malvagità è meglio dell’indifferenza. Nerini chi? Oggi nessuno lo sa. Nemmeno per un collega imprenditore che è anche tra i soci del consorzio turistico Terra dei Laghi, una delle sue iniziative è finita male. Ha promosso le bellezze del Lago Maggiore, ha partecipato a tutte le fiere turistiche del mondo, ha accolto delegazioni russe e cinesi. Quando la Regione Piemonte ha tagliato di un terzo i finanziamenti, si è scoperto che non c’era più niente nella cassa. Duecentomila euro di scoperto.

READ  Alpi | Ancora più morbido dopo molta neve e vento
La villetta

Villa Claudia di Baveno è forse il simbolo di questa parabola personale e imprenditoriale. Gigi Nerini ha vissuto in una normale villetta a schiera a Verbania fino alla morte nel 2004 dell’amata nonna, che ha ereditato dalla dimora storica costruita nel XIX secolo. I muri sono pieni di crepe, la vernice ora è sparita. Le finestre nell’ala interna hanno vetri rotti e anneriti. “Una bella casa, abitata da persone che non hanno i mezzi per mantenerla”, racconta un residente del palazzo di fronte, al passaggio di uno dei figli di Gigi Nerini, che cammina a testa bassa e coperto da una felpa. A Stresa e dintorni non ci saranno domande. E non ci sarà pietà.

26 maggio 2021 (modificato il 26 maggio 2021 | 23:27)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *