“Basta, fallo per le mie figlie” – Corriere.it

Le ha gridato “smettila”, di farlo “per le sue figlie”. Grida che riecheggiano da un buco nella terra, nel silenzio dell’alba. Un disperato tentativo di chiedere aiuto che nel deserto alle 6.30 di lunedì 9 agosto nessuno sente. Aggredito e violentato all’interno di un tubo di cemento in un canale di scolo a poche decine di metri dall’ingresso dell’ospedale San Raffaele. Sciopero, secondo le accuse dei magistrati milanesi Letizia Mannella e Rosaria Stagnaro, Haitham Mahmoud Abdelshafi Ahmed Masoud, 31enne egiziano sbarcato l’11 maggio a Lampedusa e in attesa di asilo. Contro di lui il test del DNA. La vittima è un italo-sudamericano di 25 anni che da anni lavora per un’azienda fuori dall’ospedale.

Dopo le violenze, non ha più nemmeno la forza di chiamare la polizia. Arriva al San Raffaele sconvolta e riesce a malapena a parlarne con i colleghi che la convincono a salire su un taxi e farsi visitare al Pronto Soccorso Mangiagalli. Medici e psicologi ascoltano la sua storia. Poche ore dopo, tutto è sul tavolo dei magistrati e degli inquirenti di Mobile, guidati da Alessandro Carmeli e Achille Perone. La vittima, anche se ancora molto angosciata, ha ricordi nitidi: “Era un nordafricano, con pantaloncini, maglietta leggera e zaino”. Ricostruito accuratamente il luogo della violenza: un percorso tra la metropolitana di Cascina Gobba, la tangenziale est e l’ospedale. È una strada che la giovane, come centinaia di operatori ospedalieri e studenti, percorre ogni mattina. Una scorciatoia che taglia a metà il percorso, ma stretto, in parte nascosto dalla vegetazione e da un cantiere. E soprattutto senza telecamere. Il 25enne guida i poliziotti sul luogo di stupro: un grosso tubo di cemento interrato accanto a un foro ea un canale.

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È qui che il suo carnefice la spinge dopo averla attaccata da dietro lungo il sentiero. Ascolta la musica sugli airpod. Dice di essere stata raggiunta da un ragazzo, forse lo stesso che aveva visto seduto poco prima (con un altro giovane) fuori dal parcheggio del bancomat fermo. La vittima pensa di avere fretta e si blocca per lasciarlo passare. Ma lui si ferma, le mostra il cellulare, le parla. Il 25enne ascolta musica e scappa via dalla paura. Questo è quando la spinge nel canale, poi la tira per i capelli al tubo e le stringe la testa fino a farle prendere fiato.

Sul luogo della violenza, la polizia ha sequestrato un casco e un fermaglio per capelli alla vittima. Il lavoro degli inquirenti inizia con una retroanalisi delle telecamere. Gli agenti vedono il sospettato seduto fuori dal parcheggio alle 6:42: arriva un furgone e lui si alza e si avvia verso il sentiero. I film lo girano anche 15 minuti prima, al suo arrivo in metropolitana con un convoglio partito dalla Stazione Centrale. Lo stesso percorso della vittima, preso solo pochi minuti prima. Poi si allontana lungo i campi.

Analisi delle celle telefoniche indica un unico cellulare compatibile con questi movimenti. Si tratta di un egiziano sbarcato a Lampedusa ma la foto non corrisponde. Quello di profilo WhatsApp invece, è identico al sospettato. Con questo numero ha chiesto asilo in questura. Con un bastone e una lattina, gli agenti prendono il DNA: è la partita decisiva. Venerdì mattina si presentano in via Tartini, nel quartiere Dergano, dove dorme in una casa con altri 10 stranieri. Sono in carcere per violenza sessuale aggravata.

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28 agosto 2021 | 07:45

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