Cashback a Napoli, i negozi fanno muro: “Pos? No, riduzione per chi paga in contanti “

“Cashback? Non ci iscriviamo”: questa è la risposta data da 3 su 8 dei piccoli commercianti da cui abbiamo fatto acquisti ieri nella regione Corso Umberto e via Duomo a Napoli. Una borsa dell’acqua calda, una tazza con l’immagine di Insignia che si diletta con un obiettivo e una confezione di 6 calici da vino: piccoli acquisti, che però la dicono lunga sulla distanza che c’è, in questo Natale di crisi economica e pandemia, tra la realtà dei piccoli commercianti e l’iniziativa lanciata dal governo per il rimborso del 10% degli acquisti effettuati (fino al 31 dicembre e con un tetto di 150 euro) tramite pagamento elettronico. Tra gli esercenti c’è anche chi, in cambio di un pagamento in contanti, si offre di erogare “un piccolissimo sconto”, trasformando di fatto, per il consumatore, il cashback in “contante”, in rimessa diretta al cliente. Acquista.

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Commissioni e commissioni di gestione, fabbisogno di liquidità, dilazioni di pagamento: oltre all’evasione fiscale, molti problemi sollevati dal cashback incidono sul sfiducia mostrata dai piccoli commercianti verso l’iniziativa. Ovviamente c’è chi commette un’irregolarità e non ha il Pos (obbligatorio dal 2019) oppure rifiuta il pagamento elettronico con una scusa. Questo è il caso di due piccoli negozi in via Longo e via Settembrini, vicino a Porta San Gennaro. “Rimborso? Ma cosa dovremmo fare? Vendiamo piccole cose, non possiamo nemmeno pagare una commissione su un prodotto così scarso? Molti anziani passano qui – un gentile proprietario che è vecchio a sua volta è giustificato – Agirò diversamente, ma dovrebbero tagliare le commissioni bancarie, altrimenti non possiamo sopravvivere. La borsa dell’acqua calda costa 5 euro, non possiamo rimpicciolirci troppo per incassare i potenti? “” No, non li accettiamo. pagamenti tramite Pos – dice un altro proprietario – 6 euro in contanti, altrimenti non posso venderti gli occhiali, mi dispiace “.
Più particolare, invece, è la posizione di Assunta Paone e Aldo Montanari, commercianti di via Duomo: “Non abbiamo aderito proprio al cashback”, avverte. “Abbiamo il Pos e puoi pagare la tazza con la tua carta di credito – aggiunge – ma senza cashback. Inoltre, nel fine settimana, le banche non accreditano denaro sui conti correnti, quindi il pagamento arriverà lunedì ”.

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Non sono previsti costi aggiuntivi per i commercianti che aderiscono al rimborso, ma c’è una differenza tra l’iscrizione per il rimborso del 10% e l’accettazione regolare del pagamento elettronico. “Per partecipare al cashback, è necessario eseguire una procedura – specifica Vincenzo Schiavo, presidente Confesercenti Campania – Ovvero, il commerciante deve registrare la sua posizione nel sistema dell’Agenzia delle Entrate, che a sua volta registrerà ogni transazione nel database da cui riceve la lotteria i vincitori verranno quindi estratti. Poi i commercianti, aderendo al cashback, consegnano tutti i loro dati all’Agenzia delle Entrate: da questo nasce in parte la diffidenza verso l’iniziativa. Ma è soprattutto un problema di deficit culturale: il mondo entra nell’ottica dell’uso quasi esclusivo delle valute elettroniche ma i commercianti, apprendendo l’iniziativa in televisione, non ne hanno compreso appieno i passaggi. Molti imprenditori, soprattutto quelli piccoli, preferiscono i contanti: stiamo attraversando un momento difficile per la sopravvivenza delle imprese. Oggi un Pos costa almeno dai 50 ai 150 euro al mese, a seconda del tipo di dispositivo. Il commissione sulla singola transazione dipende dalla banca: dallo 0,50 allo 0,90% per gli sportelli automatici, dall’1,10% all’1,90% per le carte di credito. American Express raggiunge il 3%. Per facilitare la distribuzione dei premi cash back, il governo avrebbe dovuto ridurre le commissioni, ma ciò non è avvenuto. Su una sacca d’acqua da 5 euro, ad esempio, un commerciante ricarica il 10%: incassa 50 centesimi. Con il Pos, perdi 15 centesimi di commissioni. Pertanto, spesso si verifica il piccolo sconto e il cash back si trasforma in denaro, cioè uno sconto diretto sulla merce ”.

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Al di là della “sfiducia nella comunicazione dei dati”, la questione dei costi resta decisiva per spiegare la freddezza dei trader, soprattutto in un momento in cui, con la crisi pandemica, la liquidità è centrale. A sottolinearlo, gli stessi commercialisti napoletani: “Piccoli imprenditori e commercianti sono stanchi delle promesse del governo che si era impegnato, ancor prima di Covid, a ridurre le commissioni relative a carte di credito, bancomat e applicazioni. – lui spiega Vincenzo Moretta, Presidente dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e dei Dottori Commercialisti di Napoli – Purtroppo non tutti gli impegni sono stati onorati ei microimprenditori si trovano gravati di oneri aggiuntivi. Questa emergenza economica non ha precedenti e la sensazione è che le istituzioni abbiano abbandonato a se stesse i commercianti. Il cashback e la lotteria dei biglietti promuoveranno il consumo, ma solo i commercianti pagheranno comunque le commissioni. In Italia la quota media a carico dei trader sulle transazioni è compresa tra l’1 e il 2%, e la contrazione degli acquisti varia tra il 50 e il 70%: l’emergenza sanitaria e la relativa sigaretta hanno ridotto il potere d’acquisto ” .

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