chi era veramente – Libero Quotidiano

Sohail Pardis per un anno aveva lavorato come interprete per gli americani. Pardis fu decapitato. “Stava guidando felicemente nel suo pick-up da Kabul a Khost per raggiungere la sua famiglia. Tutto intorno a lui stava già diventando scarso, avvizzito, cade a brandelli: americani in ritirata, assassini di Allah che avanzano, colonne di scossoni in fuga, i ricchi a proprio agio sull’aereo, i poveri a tutti gli effetti fino alle frontiere. Aveva ricevuto minacce, i talebani lo avevano avvertito: sappiamo che hai lavorato per gli americani, sei una spia e un traditore dell’Islam. Stiamo arrivando, stermineremo te e la tua famiglia”, scrive il Per stampare.

Non c’erano testimoni quando il checkpoint talebano è uscito dal nulla. Lo hanno abbattuto. Lo hanno decapitato. Il fratello e la sua famiglia hanno lasciato in fretta la loro casa, si sono nascosti. “Potrebbe non essere abbastanza quando gli americani se ne andranno presto, anche i pochi rimasti. E tra loro, i collaboratori, e la morte ci sarà solo l’inutile divario dell’esercito afghano. La soaparola dell’Islam, i vincitori, inizieranno a sfogliare le liste in cui hanno meticolosamente inserito i nomi dei traditori”, rivela La Stampa.

“Alle decine di migliaia di afgani (più di 35.000) che hanno lavorato per l’esercito americano o per gli alleati, condannati a morte in attesa di esecuzione, Washington promette, studia pratiche complesse per i visti, chiede documenti, propone esili improbabili. Il tempo rimanente si esaurisce inesorabilmente. I pazienti talebani avanzano e alzano i posti di blocco, cancellano i nomi dalle lunghe liste», conclude La Stampa.

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Andrea Tempestini

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