I fondi del Regno Unito valgono di più come pozzo di carbonio

Il fondale marino di proprietà della Gran Bretagna vale 300 miliardi di dollari. Il calcolo si basa sui servizi ecosistemici che sono in grado di fornire: soprattutto sotto forma di pozzi di carbonio (blue carbon)

Capitale naturale: i fondali marini del Regno Unito valgono di più come pozzo di carbonio
Foto su Calli2707 dato Pixabay

Capitale naturale e servizi ecosistemici al centro del lavoro dell’Istat britannico

(Rinnovabili.it) – I fondali britannici “cedono” di più senza esercitazioni. Il valore del petrolio e del gas che potrebbero essere estratti è inferiore alla capacità di assorbire e immagazzinare anidride carbonica. A Dillo è l’Office for National Statistics, l’equivalente britannico dell’Istat. Chi ha anche integrato il capitale naturale.

Tutto ruota attorno a quelli che vengono chiamati “servizi ecosistemici”, ovvero i costi ei benefici che derivano dalla protezione e dall’utilizzo della natura. Secondo i tecnici londinesi, i beni nazionali della capitale naturale marina – vale a dire i fondali marini – valgono 300 miliardi di dollari.

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Come sono arrivati ​​a questa stima? Il calcolo confronta il valore di petrolio e gas con il carbonio blu, ovvero la capacità degli ecosistemi marini di assorbire anidride carbonica e quindi di contrastare l’avanzamento del cambiamento climatico. Secondo gli esperti britannici, alghe, fango, sabbie e saline catturano già almeno 10,5 milioni di tonnellate di CO2 equivalente all’anno. Leggermente, ma questo valore supera quello di tutte le foreste del Regno Unito.

Non solo. Per gli statistici Le risorse di carbonio blu della Gran Bretagna valgono anche più della pesca, del petrolio e delle energie rinnovabili messe insieme. Un valore destinato ad aumentare, visto che Londra prevede di iniettare artificialmente CO2 nei fondali marini.

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Un recente studio dell’Università di Cambridge ha concluso che, quando si tiene conto del capitale naturale, è molto più economico preservare gli ecosistemi che promuoverne lo sfruttamento. Un punto che è anche al centro della ‘Recensione di Dasgupta‘, un rapporto commissionato dal Ministero delle finanze britannico che propone di correggere il PIL includendo il capitale naturale nell’indicatore macroeconomico.

E si evolve anche sulla stessa linea l’ONU, che cerca di costruire e diffondere un PIL verde come indicatore macroeconomico. A metà marzo, la sede delle Nazioni Unite ha introdotto formalmente il Sistema di contabilità economica e ambientale – Contabilità dell’ecosistema (SEEA EA), un indicatore economico che incorpora anche i servizi ecosistemici.

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