Kamala Harris, tutti i guai del vicepresidente “tradito” dal suo staff – Corriere.it

UNAL’operazione di salvataggio della Casa Bianca è iniziata ora: mentre Ron Klain, capo dello staff di Joe Biden, loda Kamala harris e la sua squadra, anche un ex presidente scende in campo, Bill Clinton, che dipinge un ritratto straordinariamente positivo di Tina Flournoy, la donna che è diventata il braccio destro del Vicepresidente degli Stati Uniti dopo una lunga carriera politica nel Partito Democratico iniziata negli anni ’90 alla Casa Bianca di Clinton dove era capo di gabinetto. Mamma il caso che scuote l’ufficio Harris non chiuso, dopo la rivolta anonima di alcuni membri della squadra di collaboratori che, interpellati dal sito Politico.com, ha parlato di un ambiente di lavoro conflittuale e disorganizzato, di un clima irrespirabile.

Molte persone notano che le cose non devono filare lisce se, pochi mesi dopo l’insediamento della nuova amministrazione, Harris è già stato abbandonato da due dei suoi più stretti collaboratori, mentre si è dimesso anche il direttore delle attività digitali. E qualcuno ricorda che questa non è la prima volta che Kamala è apparsa organizzativamente inefficace: anche due anni fa la sua squadra della campagna presidenziale crolla prima ancora che inizino le primarie tra proteste, accuse di maltrattamenti e l’inaspettato e rapido esaurimento dei fondi elettorali, probabilmente mal spesi. L’anno scorso è stato poi raccolto da Biden, che lo ha messo sul suo biglietto presidenziale.


Comunque, piove sotto la pioggia per il vicepresidente, aggredito da destra e da sinistra per come gestisce l’emergenza immigrazione clandestini (il compito oggettivamente proibitivo affidatogli da Biden): dal viaggio in Messico e Guatemala (la destra lo accusa di essere inefficace, la sinistra critica il suo invito a rimpatriare i migranti centroamericani) ai suoi recente missione in Texas, al confine con El Paso. Una visita che sarebbe stata decisa troppo tardi (94 giorni dopo la nomina di Kamala a Zar dell’immigrazione) e forse solo per non essere sorpassato da Donald Trump, che qualche giorno dopo visitò anche il Texas.

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Questo viaggio è stato troppo il detonatore dello scontro nella squadra del vicepresidente. Secondo Politico.compochi giorni dopo il viaggio, nessuno, nemmeno chi doveva organizzarlo, sapeva che sarebbe andata a El Paso. Una decisione criticata da molti perché, scegli il punto di confine più pacifico piuttosto che il più problematico Come i centri di raccolta di McAllen o Tucson, in Arizona, Harris sembrava una parata mediatica piuttosto che una vera missione operativa.

I 22 assistenti ed ex assistenti del vicepresidente intervistati da Politico.comattributo disastri organizzativi e tensioni a Tina Flournoy che, con l’intento di proteggerla, avrebbe isolato il vicepresidente e reso difficoltose le comunicazioni. Poi quando qualcosa va storto Flournoy sarebbe sempre pronto a trasferire tutte le responsabilità a un subordinato. Il portavoce di Harris, Symone Sanders, difende Flournoy e rivendica la sua gestione dei muscoli: Di ​​sicuro non stiamo seduti a disegnare arcobaleni e coniglietti tutto il giorno, quando per noi donne nere tutto diventa più difficile.

C’è sicuramente del vero in queste zanne, anche perché Ad Harris sono stati assegnati molti compiti difficili (oltre all’immigrazione difendendo anche i diritti elettorali, lo spazio, le reti digitali e il lavoro) e la sua squadra, a differenza di quella di Biden, piccola e con poche persone esperte. Ma chiaro che dietro gli attentati c’è anche il disagio di certi ambienti democratici convinto che Harris non sarebbe in grado di formare una coalizione elettorale ampia come quella costruita da Biden, se il presidente non si ripresentasse nel 2024.

3 luglio 2021 (modificato il 3 luglio 2021 | 22:20)

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