La linguista Cecilia Robustelli: “Le parole discriminano le donne, ma non è colpa dell’italiano”

“È come un caleidoscopio, che gira e l’immagine cambia. Ma poi la sostanza è sempre la stessa ”. Prego? “Tutti si sentono in diritto di parlare di qualsiasi cosa, soprattutto in Rete. Basta tirare fuori qualche ritagliata da interviste o articoli scientifici e un’opinione si fa in un batter d’occhio. Di solito non lo facciamo non conosciamo bene l’argomento, abbiamo a che fare con qualcos’altro, ma qualunque cosa: sembra buono e funziona nelle discussioni di ‘noantri. Si discute di tutto: la medicina è grande, la medicina naturale batte tutto, ma anche la grammatica è in primo piano: ognuno si considera linguista solo perché ha il dono della parola ”. Cecilia Robustelli è Professore Ordinario di Linguistica Italiana presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. Recentemente è stata protagonista di una bellissima lezione sul genere femminile nell’italiano di oggi (a cura di #Masters, Rai Play). Un tema che nell’ultimo periodo è spesso al centro dell’attenzione. La nostra conversazione parte da qui: “Sono confuso”.

Professore, perché?

Perché incontro, soprattutto in Rete, tante persone entusiaste di esprimere la loro opinione sull’italiano ma che non vogliono metterla in discussione. Ma dimenticano che la lingua è uno strumento di comunicazione con regole precise che devono essere rispettate affinché la comunicazione funzioni. Invece, tutti credono di poter usare la lingua a proprio piacimento. Considera un argomento caldo come l’uso di termini femminili per denotare ruoli o professioni prestigiose che si riferiscono alle donne. Ci sono affermazioni brillanti: queste non sono parole corrette, non esistono, non le uso perché non mi piacciono, preferisco il maschile perché è neutro, voglio usare Registrati e pediatra eccetera. Ma molti non sono veri o realizzabili.

Perché?

Quando parliamo, normalmente usiamo il genere femminile per ciò che si riferisce alle donne e il maschile per gli uomini, e questo uso riflette esattamente la regola grammaticale che abbiamo imparato alle elementari. Se leggiamo che “il dirigente Bianchi” ha firmato una circolare o che “il prefetto Rossi” parteciperà alla cerimonia, l’immagine mentale che si forma nella nostra mente è quella di un uomo. Se invece leggiamo “il dirigente Bianchi” e “il prefetto Rossi” l’immagine sarà quella di una donna. Oggi le donne occupano professioni e una volta occupavano solo ruoli maschili, tante forme femminili sono entrate in Italia o sono risorte. Ma in Rete ci sono accese controversie sull’uso di ingegnere O avvocato, mentre tante altre parole nuove sono entrate in italiano senza disturbare nessuno.

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Per esempio?

Le parole “computer” o “caregiver” sono entrate nel nostro vocabolario come un fulmine e non hanno rappresentato un problema. “Operatore ecologico / trice / a” e “collaboratore scolastico / trice / a” hanno sostituito il netturbino e il bidello, e non ci sono state proteste. Ma le forme femminili per ruoli e professioni prestigiose sono ancora ampiamente rifiutate, anche se non fanno male. Piuttosto!.

Ci stai dicendo che l’introduzione di parole come “medico” o “architetto” non crea problemi di linguaggio?

Certamente no, sono parole che permettono di assegnare a una donna il ruolo che ha, sono grammaticalmente corrette ed evitano lo zigzag tra il genere maschile e quello femminile che ostacola la comprensione, e quindi la comunicazione. E sono già utilizzati: io stesso sono stato consulente del Movimento Giotto, l’organizzazione italiana dei giovani medici di base, ora divisa in medici e dottori, e di Rebel Architette, un gruppo di professionisti che sono riusciti a l’Ordine delle donne.

Tuttavia, c’è chi dice che “suonano male”.

In italiano abbiamo parole come “zuzzurellone”, di cui intere generazioni di studenti hanno riso, o “loquace”. Lo sai che la “supercazzola” è anche a Zanichelli? Prova a leggere i neologismi che ogni anno entrano nei dizionari, avrai delle sorprese. E poi, usiamo “pasticceria” ma ci rifiutiamo di dire “ingegnere”? Abbiamo laghi d’inchiostro in cui qualcuno ciclicamente cerca di annegare un termine, soprattutto “architetto” perché i linguisti della domenica lo hanno segmentato in “archi” e “cincia” inclusi, quest’ultimo, per “seno” . Pazzo, ma qualcuno ci crede!

Quindi, in questo caso, i cambiamenti sociali non innescano cambiamenti linguistici. E non per “cattiva volontà” dell’italiano.

Diciamo che il linguaggio ci offre, come sempre, tutte le possibilità per comunicare la presenza delle donne come soggetti attivi della società, come detentrici di ruoli che prima non potevano avere, ma che pian piano vengono accettati. Anzi, con esitazione e talvolta anche con rifiuto. Certo, qualcosa si spiega pensando che la tradizione linguistica tarda a morire, ma i motivi sono in gran parte extra linguistici, riconducibili alla fortissima tradizione patriarcale che permea la cultura del nostro Paese e vede l’uomo al centro di tutto. , la donna ai margini. . Così, nell’uso del linguaggio, il genere grammaticale maschile si estende alla rappresentazione delle donne: anche oggi “uomo” è usato per denotare uomini e donne, non possiamo usare “essere umano” . Il genere femminile, invece, resta relegato a mestieri e professioni più lontano dai centri di potere e più sensibile ai ruoli tradizionali di moglie e madre. O quella di un oggetto sessuale. Non si sa fino a che punto la lingua discrimini le donne.

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Gli uomini difendono il loro potere. Ma perché le donne stesse spesso si oppongono all’uso di questi termini?

Perché per molti il ​​modello culturale di prestigio associato, ad esempio, alla professione forense è sempre maschile, è un uomo elegante, solido, sicuro di sé, che guarda in faccia il presidente di giuria, come nei film. Americani. Per essere buono e diventare potente, devi essere come un uomo. Ed essere chiamati con lo stesso titolo significa aver ottenuto lo stesso successo. Diciamo anche che gli uomini tendono a non riconoscere appieno l’abilità delle donne nelle professioni in cui si sentono ancora territorio maschile.

Allora come si fa?

Scopriamo il ruolo che la lingua gioca nella costruzione e nel mantenimento delle relazioni sociali. Su quanto la lingua nasconda nelle sue pieghe pregiudizi e stereotipi, che siamo talmente abituati a non accorgerci nemmeno. Sulla necessità di utilizzare un linguaggio che rispecchi il lungo viaggio di responsabilità interpretato da donne. Leggiamo e studiamo, in Rete ci sono tanti indizi di un serio lavoro scientifico, che affrontano la questione da più punti di vista.

E le donne al potere possono aiutare?

Chi gioca un ruolo importante deve essere il capofila di un cambiamento, e qualcuno l’ha fatto: penso per le istituzioni, l’On. Laura Boldrini, al ministro Fedeli, al giudice Paola Di Nicola. Avere donne in posizioni di potere consente una diversa gestione del potere stesso. Prendiamo la pandemia di coronavirus: abbiamo visto un guazzabuglio di Dpcm, un trionfo di colori regionali, nel breve periodo. Se ci fossero state più donne nelle diverse sale di controllo, avremmo avuto una visione più ampia della situazione.

La pandemia ha avuto un doppio impatto sulle donne: da un lato, molte sono rimaste disoccupate; è stato invece riscoperto il valore del “lavoro di cura”, prerogativa del genere femminile.

Ci è voluto Covid per capire che le donne sono importanti … Se da questo periodo emergesse una visione diversa della società, i lavori tradizionalmente considerati in minoranza assumerebbero un nuovo significato, così come le personalità che li rappresentano. Ma temo che le ferite delle covide si stiano semplicemente chiudendo: non stiamo imparando nulla. Tuttavia, le donne oggi sono molto più organizzate e in movimento. Noi Rete Donne, associazione femminile impegnata da dieci anni a garantire il principio di uguaglianza e pari rappresentanza in tutti gli organi decisionali, ha scritto al Presidente della Commissione Europea e al Presidente del Parlamento chiedendo risorse dell’UE Next Generation vengono investiti tenendo conto delle differenze tra i sessi. Una buona prova dell’impegno delle donne a livello politico internazionale, impensabile fino a pochi anni fa.

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Nella storia dei femminicidi, anche la categoria dei giornalisti ha gravi responsabilità. Se la vittima è una donna, parliamo solo di lei e, forse, di questo “brav’uomo” che l’ha uccisa. Al contrario, l’assassino viene avvisato solo quando è una donna che uccide il suo partner.

Spesso le due forme di violenza si combinano. Ma non è così. La violenza “di genere” è sistematica e dipende dal fatto che le donne sono sempre viste come oggetti appartenenti agli uomini. Quindi “se la cercano”, se si vestono in un certo modo, se la tradiscono; l’uomo finisce per essere giustificato. È un modello molto pericoloso ma ancora vivo, a volte anche tra chi si trova a dover giudicare in aula. Viviamo in un clima sessista e misogino. La prima cosa da fare è prenderne coscienza, e in questa attenzione al linguaggio ci può aiutare.

Venire?

Prestando attenzione a ciò che sentiamo o anche a ciò che diciamo. Cominciamo a notare che un modello esclamativo volgare diffuso è tutto femminile, Cazzo di merda[…]Scherzi e commenti che si ritiene apprezzabili rivolti alle donne di solito includono considerazioni di natura sessuale. Anche i testi delle canzoni, di Una carezza in un pugno alto, possono essere fortemente sessisti. E poi l’uso del nome proprio o di una giovane donna o di una donna per i colleghi di ufficio al posto del loro titolo. Interruzioni da parte di un uomo quando una donna parla per spiegare il suo pensiero (si chiama spiegazione). L’uso del titolo maschile piuttosto che femminile. E ovviamente il contenuto del messaggio, che può essere offensivo, riduttivo, derisorio, discriminante, persino vero discorso di odio e violenza. La lingua è la cartina di tornasole del sessismo e della discriminazione. Attenti dunque a respingere con gentilezza la questione dell’uso dei termini femminili, che sono solo un esempio di linguaggio sessista: dietro queste parole c’è dell’altro. C’è una visione del mondo che riconosce il percorso socio-culturale delle donne e contrasta con la tradizione patriarcale. Una parola femminile è una dichiarazione di riconoscimento del ruolo delle donne e della loro capacità di agire.

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