Il candidato estremista lancia il suo partito (il nome riecheggia la storia dei regni cristiani in Spagna). “I media sono contro di me”. Scontri in sala con gli antirazzisti
Non è stato un raduno come gli altri
, perché Eric Zemmour non è un candidato come gli altri. Questa è la sua forza e ciò che molti trovano inquietante. Abbiamo visto sedie volare, pugni in faccia, sangue, inseguimenti con le cinture alla mano, invocazioni al nuovo “Re di Francia”, e lo stesso Zemmour all’arrivo viene preso al collo da un rapinatore, o forse da un fan troppo entusiasta, per raggiungere il palco attraversa l’intera sala grande in mezzo a rincorsa, un servizio d’ordine quasi sopraffatto, musica epica e la folla urlante allegramente e furiosamente “Zed! Zed! Zed! “come la” Z “(si dice zeta in francese zed) di Zemmour.
È l’uomo che promette di restituire ai francesi “il paese più bello del mondo”, che sarebbe stato loro rubato dagli immigrati, dalle élite che hanno tradito, dai giornalisti, dalla sinistra ipocrita e politicamente corretta e dalla destra che ha smesso di fare il suo lavoro trent’anni fa.
Anche il posto è fuori dall’ordinario: il gigantesco Parc des Expositions de Villepinte, alle porte di Parigi, scelto perché può contenere 15.000 persone, ritenuto più controllabile dalla polizia che già temeva incidenti, e infine situato simbolicamente a Seine-Saint-Denis, il dipartimento dove si trovano i musulmani l’immigrazione è più grande e dove ieri Zemmour ha lanciato la sua Reconquest.
“Riconquista!” è il nome del nuovo partito. Attraverso Zemmour appassionato di storia è un ovvio riferimento alla Reconquista che, nel Medioevo, permise ai regni cristiani della Penisola Iberica di riconquistare i territori occupati dall’Islam, con la definitiva conquista di Granada nel 1492.
Il raduno di Villepinte di ieri è stato il primo incontro della campagna elettorale, quella durante la quale Zemmour ci si aspettava che si trasformasse definitivamente da autore di polemiche e opuscoli televisivi di grande successo a candidato credibile alla Presidenza della Repubblica. Ma quelli che pensavano o speravano nella normalizzazione sono rimasti delusi.
Scenografia enorme, affidato a Olivier Ubéda (ex vicino a Sarkozy) che cura la comunicazione di Zemmour, si è presentato ieri in pubblico con nuovi occhiali, che forse avrebbero dovuto essere rassicuranti nelle intenzioni. Sei maxischermi, tre per lato del palco, in modo che tutti possano vedere il carismatico leader; Tricolori francesi ovunque, più alcuni sostenitori avvolti nella bandiera del giglio dei realisti di estrema destra dell’Action Française. L’attesa per il capo è infinita: sfilano video di incontri in tutta la Francia, che in teoria erano solo presentazioni dell’ultimo libro La Francia non ha detto l’ultima parola. Ad esempio in Corsica, dove Zemmour aveva reso omaggio al popolo corso e all’amato Napoleone, teorizzando che la Francia non ha bisogno di altra diversità perché ce l’ha già dentro, tra bretoni e occitani, normanni e corsi, pronti a fondere – come lui, un ebreo berbero d’Algeria felice di assimilarsi – in un solo paese.
Tra i tanti oratori che si susseguono davanti al pulpito a scaldare il pubblico, è l’anziano funzionario e saggista già vicino a Le Pen, Paul-Marie Coûteaux, che attacca l’America e la sua “cultura spazzatura” di cui la Francia deve rinascere indipendente, poi Zemmour invoca che sarà “più che un presidente, sarà il re di Francia, è una questione d’amore che toccherà il cuore di ogni francese”.
Questa storia d’amore è un po’ sospetta, perché anche il merchandising curato gioca sul tema, con un’autoironia divertente e un po’ sinistra: le magliette con la scritta “Fate Zemmour non fanno la guerra” vengono vendute, e il logo della campagna sui cappelli e sulle magliette. include un ramoscello di ulivo stilizzato: simbolo di pace e riferimento a Zemmour che in berbero significa “olivo”.
Fu solo quando gli attivisti di Sos Racisme infiltrati nel pubblico – provocazione indiscutibile – si aprono i cappotti mostrando le magliette che compongono la scritta “no al razzismo”, vengono subito picchiati dagli Zemmouriens di estrema destra. Gli incidenti si ripetono ma Zemmour mette fine al discorso. “Gli avversari vogliono la mia morte politica, i giornalisti la mia morte sociale e i jihadisti la morte fisica”, dice, ma questo esalta solo lui e il suo pubblico. Siamo a casa!ripetono: “Questa è casa nostra.
5 dicembre 2021 (modificato il 5 dicembre 2021 | 22:55)
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