Lo schema è chiaro e l’ex capo di gabinetto del MEF e ora sottosegretario alla presidenza del Consiglio ha ricordato al ministro dell’Economia Daniele Franco: rafforzare l’infrastruttura informatica per semplificare gli obblighi dei contribuenti ma soprattutto ridurre la distanza tra cosa dovrebbe andare nelle casse dello Stato e quanto effettivamente pagano i contribuenti in tasse. E quest’ultimo obiettivo è già criptato: nel 2023 il tax gap dovrà essere ridotto del 5% rispetto al tax gap del 2019. Regime del tax gap del 15% nel 2024.
Inoltre, si tratta di una cifra in calo perché, come scrive Roberto Garofoli in allegato alla lettera breve sugli obiettivi che ciascuna amministrazione dovrà perseguire per conto del Pnrr, la differenza tra incassato e dovuto riferito al 2019 non dovrebbe tenere conto del differenziale tra accise e imposte sul mattone, come può essere l’Imu.
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In ogni caso, raggiungere l’obiettivo di ridurre il tax gap significa recuperare strutturalmente risorse che fino ad ora si sono solo alimentate sottoterra. Un risultato ambizioso che, secondo le indicazioni inviate al Mef, può essere raggiunto seguendo innanzitutto due orientamenti principali. Da un lato, il rafforzamento degli adempimenti o lo sviluppo spontaneo del contribuente invitava a chiarire eventuali incongruenze tra quanto dichiarato e quanto effettivamente versato al fisco. La seconda linea di azione è il completamento del processo di pseudonimizzazione e analisi dei big data per arricchire le analisi di rischio nella selezione dei soggetti da monitorare.
Sotto il primo fronte, c’è una progressione molto netta indicata nella lettera di Garofoli, che indica obiettivi non solo quantitativi ma anche qualitativi. Il primo obiettivo è fissato alla fine del 2022: aumentare del 20% il numero di segnalazioni inviate ai contribuenti e del 15% le entrate. In entrambi i casi, l'”aumento” dovrebbe essere paragonato all’ultimo anno prima della pandemia (2019) e dovrebbe quindi tradursi, rispettivamente, in quasi 2,6 milioni di lettere e 2,5 miliardi di recuperi. Ma – ed è questo l’obiettivo qualitativo – il numero dei falsi positivi deve essere ridotto di almeno il 5%. In pratica, l’utilizzo delle banche dati deve essere sempre più finalizzato a comunicazioni mirate, cioè rivolte ai contribuenti per i quali esistono realmente situazioni di anomalia. Il secondo traguardo è però fissato alla fine del 2024 con un aumento del numero di lettere del 40% e un fatturato ancora del 30% rispetto al risultato del 2019. In totale, questo significa puntare a quasi 3 milioni di lettere. e $ 2,8 miliardi di entrate aggiuntive. E in un’ottica di supporto all’adempimento, bisogna leggere anche il percorso già intrapreso con la partita IVA precompilata. A settembre c’è il primo incontro con i registri precompilati, ma occorre anche arrivare alla dichiarazione che partirà comunque dalle operazioni 2022 e quindi arriverà dal 10 febbraio 2023. Tutto ciò riguarderà un numero molto elevato di persone imprese e professionisti: 2,3 milioni di partite IVA.
Come anticipato, la seconda linea di azione mira a perfezionare finalmente la pseudo-anonimizzazione dei dati, prevista dalla legge finanziaria 2020. L’idea è quella di utilizzare il patrimonio informativo dell’amministrazione per costruire modelli di rischio a monte fuga attraverso i dati. anonimizzato. Da lì, quindi, gli indici di rischio potrebbero essere messi in pratica e passare alla fase delle verifiche sui temi ritenuti più pericolosi. L’elaborazione – vista la delicatezza delle informazioni trattate – richiede di trovare un quadrato con il Garante della Privacy. Dopodiché, si tratterà di sviluppare i modelli al computer. Ma ora la raccomandazione di Garofoli potrebbe accelerare le cose.
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