Parlando di Olimpiadi e trionfi italiani, mi viene in mente un saggio indimenticabile di Carlo Dionisotti pubblicato nel 1967: Geografia e storia della letteratura italiana. A differenza di Francesco De Sanctis, Dionisotti ha sempre cercato, più che elementi comuni, le differenze locali o regionali tipiche della nostra tradizione letteraria, linguistica e culturale. Si noti che è giusto e incoraggiante sottolineare i tratti che accomunano: lo ha fatto Marco Imarisio, sottolineando nelle tante vittorie italiane non solo l’eccellenza dei singoli atleti ma anche un sentimento collettivo che sfida i tanti stereotipi che accompagniamo. Senza dover ribaltare questo punto di vista, lo sguardo di Dionisotti resta incrollabile, mettendo in luce la geografia, anzi le geografie italiane, cioè la diversità. Che sono da un lato frammentazione e particolarismo, dall’altro sono ricchezze capaci di rendere impareggiabile il panorama italiano. E che dire delle Olimpiadi? Ne ha scritto domenica in questo spazio anche Beppe Severgnini. Bisogna essere ciechi e soprattutto sordi per non vedere e sentire, nei tanti servizi televisivi, le persistenti e clamorose differenze regionali e locali. Ancora oggi è difficile dimenticare la frase attribuita a Metternich che l’Italia è un’espressione geografica.
Non che a Tokyo mancassero segni di conformità globale, soprattutto tecnologica (la presenza sociale di cui sono stati accusati alcuni atleti), ma che straordinaria varietà di colori dialettali e sfumature antropologiche, oltre, ovviamente, a storie e biografie. A volte ci si chiede se l’omologazione sociale e linguistica sia mai stata realmente compiuta nei termini totalizzanti e totalitari profetizzati da Pasolini, o meglio prevale ancora, nel bene e nel male, l’irresistibile forza di attrazione dei piccoli paesi. e forse in un’apertura impensabile. Sono stati i Giochi Olimpici a mostrarcelo. Il karateka avolese (un karateka avolese!) che sembra non aver perso nulla della sicilianità familiare, non solo nell’espressione ma anche nei gesti. Il camminatore di Palo del Colle, convertito all’Islam, che, se dice caposquadra, lo dice inequivocabilmente pugliese. Il ventenne campione di taekwondo di Mesagne anche lui pugliese in ogni sillaba. Anche gli immigrati di seconda generazione sembrano assorbiti nel tessuto della provincia italiana. E non solo per le lingue: basta dare un’occhiata ai tanti servizi televisivi da casa, per capire la sopravvivenza di certe sale da pranzo di marna tra cui Paolo Conte, uno dei più grandi poeti della provincia, cantava.
9 agosto 2021, 21:54 – modifica 9 agosto 2021 | 21:55
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