è stata la prima a guidare un club A in Cagliari-Cittadella 3-1: preferisco arbitro ad arbitro, quando dicono arbitro vogliono sottolineare che sono una donna. I giocatori ce la fanno ma le urla in campo fanno male
Si chiama Maria Sole Ferrieri Caputi, livornese, ha 31 anni e la prima donna italiana ad arbitrare una squadra di Serie A. successo in Cagliari-Cittadella 3-1 mercoledì, ottavi di finale di Coppa Italia: una partita che segna la storia del nostro calcio. E che Maria Sole – affidare i migliori arbitri e confermare chi c’era in campo – ha gestito con una personalità sorprendente per un debuttante: tre gol rifiutati, tre cartellini gialli, pochi fischi ma giusti. Sempre vicina all’azione, ha mostrato sorrisi e nervi saldi anche nei momenti più delicati della partita.
Ci eri già allenato in serie B, ma una squadra di serie A mai: come è andato il salto?
Devo dire la verità, non era diverso dal solito. Prima un po’ di emozione, perché cambia il contorno, ma dentro il campo è tutto uguale. Volevo fare bene perché sapevo di rappresentare un intero movimento, quello delle donne arbitri a tutti i livelli. Sono solo la punta dell’iceberg di un mondo in crescita. Sono soddisfatto, ma ho ancora molto da imparare.
Come concilia un ricercatore dell’Università di Bergamo una professione così impegnativa con quella dell’arbitro?
Viaggiare molto e fare tanti sacrifici, come tutti quelli che indirizzano i giovani verso la Serie A. Lavoro a Bergamo in un centro studi in diritto del lavoro e sto finendo il dottorato. Ho una vita piena di impegni, ma sono felice.
Due nomi e due nomi. A Cagliari c’era chi diceva: non c’è solo una donna arbitro, anche un nobile.
Sì, ci sono origini nobili, ma 400 anni fa. Vengo da una famiglia molto normale. Sono cresciuto vicino a Picchi. Ci andavo sin da bambino con mio padre per incoraggiare Livorno. La mia passione è iniziata lì.
E quello di arbitrare quando?
Da bambino volevo giocare a calcio, ma la mamma non voleva. Era altre volte, una bambina che correva dietro a un pallone era disapprovata. Per fortuna oggi diverso. A sedici anni mi sono iscritto al corso arbitrale della sezione di Livorno. Amore a prima vista.
Prima partita?
Antignano Banditella-Sorgenti, Categoria Esordienti, gennaio 2007. È andata bene. Ho mandato fuori la guardia e sua madre mi ha aspettato fuori. Poi, quando ha visto tutti i miei parenti che erano venuti a trovarmi, ne sono rimasti almeno dieci.
Un problema gravissimo, quello della violenza sugli arbitri. E purtroppo sottovalutato. Serve più rigore.
Martedì e mercoledì in Serie A c’è la campagna di sensibilizzazione “Rossa a chi tocchiamo”, che riguarda soprattutto i giovani arbitri. Quello che succede ogni domenica sui campi è inaccettabile. Adesso fermati.
Sei mai stato aggredito, hai subito episodi di violenza?
Speriamo di no. Non mi sono mai sentito veramente in pericolo. Ho trovato alcuni giocatori maleducati, ma il vero problema è chi è uscito. Il giocatore che gestisco. Ma si sente la voce rozza, l’insulto del ragazzo legato alla rete di un campo con venti spettatori. E questo fa male. Più di un coro in uno stadio da 20.000 persone. Anche perché sei solo nel lotto suburbano.
E gli insulti sessisti?
Più sali di categoria, meno guardi questo aspetto, che tu sia un uomo o una donna. A livello professionale, paradossalmente, tutto è più semplice, in questo senso.
Anche gli allenatori spesso fanno una brutta impressione.
Se fanno troppo li butto via: semplici.
Modelli?
Il Frappart francese ha insegnato a tante ragazze, come la nostra Vitulano. In generale, tutti quei colleghi che hanno aperto la strada. Uomini? Quelle di serie A sono tutte diverse nello stile, ma tutte molto buone.
Che tipo di arbitro sei?
Sinceramente non saprei, direi naturale, spontaneo. Quello che voglio fare, lo faccio. È tutto.
Cosa ne pensi del Var? Un gol a Cagliari vinto con la tecnologia…
garanzia. Ho un’esperienza limitata, cerco di non sbagliare, ma so di avere una specie di angelo custode che mi corregge quando serve.
Cosa dice alle ragazze che vogliono iniziare?
Che grande opportunità di crescita, per mettersi alla prova con se stessi e con gli altri. Impari a non accontentarti, a fare sacrifici. E giocare da squadra. Siamo una grande associazione. A volte si pensa che l’arbitro sia un uomo, ma non è così: i gol di uno sono i gol di tutti, di tutta la squadra.
Quindi quando sarà una donna in Serie A?
Presto spero.
A proposito: arbitro o arbitro?
Arbitro. Personalmente lo preferisco. Come preferisco sindaco a sindaco. Novanta volte su cento quando mi viene detto all’arbitro di precisare che sono una donna. Quindi preferisco il rif. Credo che quando non ci sarà più bisogno di sottolinearlo, significherà che ci sarà una vera uguaglianza.
17 dicembre 2021 (modificato il 17 dicembre 2021 | 07:41)
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