La riforma IRPEF proposta dal governo prevede la riduzione da 5 a 4 aliquote dal 23% al 43%, ma spostandosi molto nel mezzo in modo che le aliquote scendano dal 27 al 25% e dal 38 al 35%, eliminando al 41 %. Tutti i contribuenti sono destinati a vincere, soprattutto quelli il cui reddito è compreso tra 20.000 e 50.000 euro. Ebbene, per coprire le spese dei sussidi alla bolletta elettrica, l’esecutivo ha voluto posticipare i benefici per i redditi superiori a 75mila euro, ma grazie all’opposizione del centrodestra, di Italia Viva e del M5S l’incertezza del M5S non è arrivata con molta delusione da parte di chi si è lamentato di “tassi più alti per salvare i ricchi”. Intanto il segretario della Cgil Landini insiste che la nostra tassazione sia ispirata a criteri di maggiore progressività.
Partiamo da quest’ultimo punto. Se ci concentriamo sull’imposta sul reddito delle persone fisiche, è già fortemente differenziata in base al reddito. Per i dipendenti c’è una zona non imponibile di 8.145 euro, 8.130 per i pensionati, 4.800 per gli autonomi. Anche le addizionali regionali e comunali sono spesso progressive: in Piemonte si va dall’1,62% al 3,33%, un grande successo. Non solo: le detrazioni per i figli a carico, ora sostituite dall’assegno unico, e per il coniuge sono discendenti secondo la situazione economica determinata dall’ISEE, fino a scomparire oltre’ un certo livello. Scompaiono gli sconti per i proprietari di immobili per redditi superiori a 30.987 euro. Giovani e lavoratori esterni beneficiano di riduzioni di 990 euro fino a un reddito di 15.493 euro, da 495 euro fino a 30.987, poi niente. Stessi criteri per gli inquilini con un canone concordato. Le detrazioni fiscali si registrano sui redditi assimilati al lavoro subordinato (borse di studio o previdenza complementare), ma scendono oltre i 40.000 euro e scompaiono oltre i 55.000 Esiste un credito d’imposta per ridurre il cuneo fiscale ma solo per chi non supera i 28.000 euro di reddito . Anche i premi baby (1.920 euro) si dimezzano se l’ISEE è superiore a 40.000 euro annui. Un gran numero di detrazioni (dalle donazioni per le scuole alle spese funerarie) da 120.000 euro di reddito iniziano a dimezzarsi per poi scomparire fino alla soglia dei 240.000.
Potremmo spingerci oltre (come dimenticare il reddito di cittadinanza?) sopra i 40/50.000 euro è “ricco”. L’obiezione di chi vuole più progressività è che è necessario ridurre le disuguaglianze in nome della solidarietà. Ma con un presupposto del genere, la Cina potrebbe essere infinita: perché non un’aliquota massima del 60%? O 70%? Non viene mai presa in considerazione l’altra prospettiva, ovvero che il denaro derivante dal proprio lavoro o dalla propria proprietà sia un diritto umano e che l’onere della prova sulla necessità del ritiro spetta sempre allo Stato, e non viceversa. Prima di tassare di più il cittadino, dobbiamo aver esaurito tutte le altre possibilità sul versante del risparmio di spesa, ad esempio.
Inoltre, l’elevata tassazione è un freno. Non serve riprendere la polemica sulla curva di Laffer: gli economisti non sono d’accordo sul tasso massimo che rallenta la crescita economica. Possiamo, però, fare un esempio italiano, la famosa imposta forfettaria del 15% per i lavoratori autonomi fino a 65.000 euro, oltre la quale l’imposta si riprende integralmente (applicando le attuali aliquote dal 23 al 41 per tutti i redditi ipoteticamente di 66.000 euro.%). Qui è l’Assessorato al Bilancio che ha individuato nel sistema due falle fondamentali: soffoca lo sviluppo e produce nanismo o, al contrario, favorisce l’evasione fiscale. Ebbene, vale ancora il principio logico: più irragionevolmente spremete alti redditi, più rallentate la crescita e incoraggiate la fuga o l’emigrazione. Il principio costituzionale della tassazione progressiva non viene messo in discussione, ci mancherebbe, ma in Italia, visto che l’1,2% dei contribuenti (sopra i 100.000 euro) paga già il 19,6% di tasse sul reddito, invece di farlo piangere, quando incontriamo un ricco (in regola con il fisco), baciamolo.
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