Stranieri al voto alle primarie, rabbia elettori: “Senza tessera non si può”

Il voto degli immigrati? Il cavallo di battaglia del centro sinistra, nel giorno del primario diventa realtà. Ma questa volta a protestare non sono Matteo Salvini o Giorgia Meloni, ma gli elettori Dem. I più moderati, ovviamente, che hanno accolto con scetticismo la disparità di trattamento prevista dalle regole di voto, differenziate a seconda delle nazionalità. .

Per partecipare alla consultazione che ha sancito la vittoria di Roberto Gualtieri a Roma servivano carta d’identità, tessera elettorale e due euro. Salvo eccezioni. Già, perché per allargare la posta o, come il bisbiglio malizioso, per evitare il rischio di un flop, era necessario fare qualche eccezione. Qui, quindi, chi non aveva la nazionalità italiana, e quindi nemmeno la tessera elettorale, era sempre il benvenuto.

Concretamente, andando a vedere cosa è successo nel quartiere più multietnico del centro storico, ovvero l’Esquilino, questo ha provocato una lunga fila di stranieri in attesa del proprio turno per indicare il proprio candidato preferito. Al chiosco di piazza Vittorio, per esempio, è stata massiccia la partecipazione degli occupanti di Spin Time Labs, ex sede dell’Inpdap di via di Santa Croce in Gerusalemme. Questo è il palazzo dove si è svolto pochi giorni fa lo scontro tra i candidati del centrosinistra, non senza polemiche. Non è la prima volta che la proprietà si trova al centro della controversia. Ricorderete tutti due anni fa il rumoroso “blitz” del donatore di elemosine al Papa Konrad Krajewski, intervenuto per riallacciare il potere agli occupanti abusivi, senza offesa per le centinaia di migliaia di euro di debiti accumulati verso Acea.

La maggior parte di loro mancano tessera elettorale, e così gli italiani che sfogliano il giornale in attesa di votare alzano il naso. “Senza una tessera elettorale, non è corretto farli votare”, ha detto una donna. «È una questione di buon senso, se non hanno diritto di voto, che senso ha? Quindi alterano l’esito, spingendo per un candidato che, in realtà, non rappresenta la maggioranza degli elettori». “Non dovrebbero accettare il loro voto – protesta una signora qualche metro più indietro – come fai a sapere a quale seggio appartieni? Poco importa, chi può assicurarci che non ci saranno doppi voti?” “Siamo nati qui e siamo italiani come tutti, è un bene che ci facciano votare”, afferma un giovane etiope.

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Anche il parlamentare è d’accordo su questo punto Stefano Fassina. La partecipazione degli immigrati è per lui motivo di orgoglio. “Questo è il risultato di un’apertura che esigiamo perché – spiega il deputato per Leu – queste sono elezioni amministrative, queste persone vivono e lavorano a Roma e secondo noi hanno il diritto di eleggere chi amministra la città”. Fassina, d’altronde, è anche il candidato di riferimento per la comunità. islamico di Tor Pignattara.

Nel distretto con la maggiore concentrazione di moschee illegali della capitale, ieri si è candidato alla presidenza del Comune V, che ha sostenuto il candidato di Leu, anche Francesco Tieri, ingegnere convertitosi alla religione musulmana. “L’apertura a partecipazione la democrazia serve anche per evitare le derive più estremiste, è un mezzo per stabilire l’egemonia con la nostra Costituzione, solo con l’inclusione – conclude il candidato – chi non accetta le regole fondamentali della nostra civiltà viene emarginato. via preferenziale “concessa a stranieri e sedicenni ha solo creato confusione.

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