Il ministro Roberto Cingolani l’ha vista come un’imboscata all’asse M5S-Pd e molti nel governo temono che non finisca qui. Due giorni fa nelle commissioni Ambiente e Affari costituzionali della Camera, l’esecutivo è stato battuto sul decreto Relance, che contiene la governance del Pnr e le semplificazioni ed è indispensabile per ottenere i primi 24 miliardi di aiuti dall’Europa. Sotto il governo sono state inviate due forze maggioritarie, il Movimento e il Partito Democratico, che ha adottato un emendamento nonostante il parere contrario del relatore e del governo, nella persona del ministro Federico D’Incà (M5S).
Il blitz in commissione è un nuovo episodio delle “guerre stellari” tra governo e ala Contian e un assaggio di quello che accadrà sulla riforma della giustizia, altro tema identitario per i 5 Stelle. In sostanza, l’emendamento firmato da Ferraresi e Zolezzi consente al Parlamento di fermare l’iter di approvazione delle opere strategiche (elencate nell’allegato I-bis) per le quali sono previsti contratti semplificati e una commissione specifica: entrambi terzi dei componenti di una commissione per chiedere il transizione ecologica per rivedere le decisioni sulle maxi opere. Il ministero può emanare un decreto, ma “previo parere delle commissioni competenti”.
La storia apparentemente minore è in realtà rivelatrice. Il Parlamento assume dal governo parte del potere di controllo del PNR, nell’ambito dei progetti ambientali necessari per gli obiettivi del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima. Ma sotto c’è di più e la questione è tutta politica. L’emendamento sulla contesa è stato una sorpresa, dopo che Cingolani ne ha discusso centinaia per cercare un accordo con i legislatori. Nel governo l’epidemia è stata letta come prova delle tensioni tra l’ala del governo 5 stelle che si riconosce come Beppe Grillo e i “barricaderi” vicini a Giuseppe Conte. E quello che preoccupa l’esecutivo è che i 5 Stelle abbiano trovato l’appoggio del Pd per arginare il PNRR, file prioritario e cruciale su cui il segretario generale Enrico Letta ha confermato la sua piena fedeltà a Draghi ci sono appena quattro giorni.
Ora per Cingolani, deciso a “respingere lo shock ideologico e il veto”, l’attuazione del piano è minacciata. E poiché il ministro ritiene che l’emendamento abbia messo a nudo un serio problema, lo hanno sentito dire che in queste condizioni la sua permanenza al governo non ha senso. Le tensioni con i 5 stelle sono in corso sin dai primi giorni del governo di unità nazionale. Grillo ha affermato che il ministero della Transizione ecologica è stato un “grande successo” del M5S, ma il dissenso tra i parlamentari è aumentato, anche perché, secondo un deputato, “il ministero ha mangiato l’ambiente”. Cingolani ha sempre cercato di mantenere aperto il dialogo anche da parte del governo, ma nel M5S c’è chi soffre dell’autonomia di un tecnico abituato a “fare le sue cose”. Si dice alla Camera che ieri Cingolani sia andato a parlare con Grillo, per capire se l’ostruzionismo nei suoi confronti è destinato a continuare.
I Democratici si ritirano e rifiutano un asse giallorosso Conte-Letta. Al Nazareno assicura che l’emendamento è “una cosa minima, senza conseguenze politiche” e che il segretario lo ha ignorato, come spesso accade con “l’ordinaria attività parlamentare”. Per il Pd il potere del ministro non ne risente, perché i due terzi di un comitato possono solo chiedergli di rivedere l’elenco delle attività destinate a viaggiare in fretta e furia. Resta la tensione con diversi parlamentari, vicini a Conté e non solo. L'”imboscata” della commissione avrebbe visto all’opera la deputata dem Chiara Braga, vicina a Dario Franceschini. Molti al governo ricordano lo scontro in Consiglio dei ministri e le telefonate infuocate dell’assessore alla Cultura a Cingolani, sul silenzio-assenso dei sovrintendenti. Ma c’è anche chi ricorda come l’onorevole Braga abbia risposto duramente qualche giorno fa a Cingolani, che ha attaccato Nicola Zingaretti sui rifiuti della Roma. “E il presidente della Lazio se la cava bene con Conte…”, ricorda una fonte. È in questo clima di cattiveria e sospetto che il Decreto Ripresa arriverà in aula questa settimana, per poi passare al Senato (corazzato) ed essere convertito entro il 30 luglio.
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