NEW YORK. Se nulla ferma il boia entro i prossimi cinquanta giorni, Lisa Montgomery diventerà la prima donna ad essere giustiziata per ordine delle autorità federali statunitensi in quasi settant’anni. Una condanna resa possibile dalla ripresa delle esecuzioni a livello governativo voluta dall’amministrazione Trump lo scorso luglio. Il crimine per cui è stata condannata risale al 2004 quando strangolò una donna incinta di 29 anni e, dopo essersi tagliata lo stomaco, rapì la bambina di 8 mesi che ora ha 16 anni. Un crimine “particolarmente atroce” secondo il ministro della Giustizia William Barr che ha fissato la data dell’esecuzione per iniezione letale per l’8 dicembre nel penitenziario federale di Terre Haute, nell’Indiana. Non erano necessari i ricorsi e le richieste degli avvocati di Lisa, che ci fosse “una grave ingiustizia”: la donna, infatti, soffriva sempre di gravi disturbi mentali, ripetutamente violentata dalla compagna della madre e poi abusata anche da due mariti. Tutto peggiorato nel tempo dalla dipendenza dall’alcol. La donna ora ha 52 anni. Diverse organizzazioni per i diritti umani promettono di lottare fino all’ultimo per impedire una replica di ciò che non si vedeva dal 1953, quando due donne furono giustiziate. Uno di loro era Ethel Rosenberg, condannato alla sedia elettrica per spionaggio, per aver trasmesso informazioni segrete sulla bomba atomica all’Unione Sovietica. L’altro detenuto giustiziato nel 1953 era Bonny Heady, condannato alla camera a gas per aver ucciso un bambino di 6 anni. L’unica altra donna nella storia americana inviata a morte per ordine del governo federale era Mary Suratt, una pensionata, impiccata nel 1865 per aver partecipato a un complotto per assassinare il presidente Abraham Lincoln. Nelle carceri statali, tuttavia, sono state giustiziate 16 donne dal 1976, anno in cui la Corte suprema pose fine alla moratoria sulle esecuzioni. Barr ha anche stabilito un’esecuzione il 10 dicembre per Brandon Bernard, 40 anni, che ha ucciso due giovani religiosi nel 1999 in Texas. Le condanne a morte emesse dall’amministrazione Trump salgono a nove in soli sette mesi. Eppure la questione della pena di morte non è stata catturata dal radar della campagna elettorale, né da Biden né da Trump, a conferma di come la questione a Washington sia schermata da una sorta di tacita inviolabilità trasversale.
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