Vent’anni (persi) in Afghanistan- Corriere.it

Rritirando le truppe americane dall’Afghanistan, Joe Biden rifiuta l’illusione – coltivata vent’anni fa dai neoconservatori repubblicani, ma poi diffusa anche tra i democratici – per poter esportare la democrazia arginando feroci dittature con una presenza militare che non rispetta i diritti civili. Buoni propositi che nella prima parte di questo secolo si sono frantumati di fronte a realtà storiche difficili da modificare o addirittura a far saltare un precario equilibrio, dall’Egitto alla Libia, dallo Yemen alla Siria. La decisione coraggiosa e controversa del presidente democratico va vista a due livelli: quello delle relazioni internazionali con i rischi di un Afghanistan appena radicalizzato che può diventare la base di gruppi terroristici come Washington intende monitorare e, se necessario, intervenire da lontano. utilizzando l’intelligenza digitale e la tecnologia dei droni. Ma è importante anche l’aspetto dei riflessi interni negli Stati Uniti, esauriti dal più lungo impegno bellico della sua storia (il Vietnam, l’altro conflitto “infinito” è durato otto anni). Qui Biden, lontano anni luce da Donald Trump in mille modi, prende una posizione simile alla sua: la guerra in Asia centrale si è conclusa come spreco totale, una colossale distruzione di risorse, non solo economiche. Inoltre: Biden si appropria di tre dei cardini di Trump: la fine della guerra, ma anche gli aiuti uomini dimenticati, l’America impoverita e il piano infrastrutturale – cercando di trasformare in realtà ciò che il suo predecessore aveva annunciato per anni ma mai realizzato.

Dopotutto, era convinto da più di un decennio che una volta eliminate le basi di Al Qaeda, L’America deve disimpegnarsi dall’Afghanistan “cimitero degli imperi” senza pretendere di imporre democrazia e diritti civili. Nel suo libro di memorie, Barack Obama dice che non appena è diventato presidente, è stato braccato da Biden, il suo vice e contrario all’espansione della presenza militare in Afghanistan, che lo ha esortato a non essere messo alle strette dal generale. E George Packer in “Our Man”, il suo bellissimo libro sul grande diplomatico Richard Holbrooke, dice che Biden, incontrando l’inviato speciale statunitense in Afghanistan nel 2010, è fuggito in privato, parlando di suo figlio Beau, allora militare. Kabul: “Mio figlio sta rischiando la vita per difendere i diritti delle donne, ma non funzionerà: non le abbiamo mandate lì per questo”.

Il ritiro, ovviamente, comporta enormi problemi di varia natura: nel frattempo, il rischio che il governo di Kabul venga annientato dai talebani per vendetta contro chi ha collaborato con l’Occidente e il rischio che il Paese offra ancora una volta rifugio alle organizzazioni terroristiche. Washington promette che continuerà a influenzare la politica afghana e a proteggere i suoi alleati anche senza una presenza diretta. Un modello simile agli interventi antiterrorismo effettuati con una certa frequenza in Africa, dalla Somalia alla Libia. Ma gli attacchi con i droni richiedono anche intelligence sul campo e non è chiaro se i governi afghani saranno in grado di continuare a fornirli. Così come non è chiaro il destino delle migliaia di appaltatori civili della sicurezza che operano in Afghanistan, né quello delle migliaia di soldati fantasma che non sono inclusi nel conteggio dei 2.500 contingenti che saranno ritirati entro l’11 settembre. Si tratta principalmente di ranger del Pentagono che sono comunque supervisionati nelle missioni della CIA. Biden ha detto solo che avrebbe deciso in futuro come proteggere i diplomatici e la missione statunitense che rimangono nel Paese.

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Il ritiro può quindi espandere il ruolo della Turchia: ospiterà i negoziati tra le varie forze afghane a Istanbul. e, in virtù del suo ruolo di mediazione, non può per il momento ritirare il proprio contingente militare, presente nel Paese nell’ambito del meccanismo NATO. Potenzialmente un prezioso riferimento per l’intelligence statunitense.

Nel frattempo, la filosofia dell’interferenza umanitaria e dell’eliminazione dei feroci dittatori sembra essere nel crepuscolo: Idee che si sono rafforzate anche a sinistra con l’intervento militare contro i genocidi nell’ex Jugoslavia e, successivamente, con le illusioni di Internet nutrite dai giovani di piazza Tahir al Cairo. Tutto è passato attraverso il tritacarne della dittatura militare in Egitto, la devastazione della Libia (con influenze russe e turche) dopo l’eliminazione di Gheddafi e anche altri episodi come l’umiliante rifiuto di Obama di punire Assad per il suo uso di armi chimiche. contro i ribelli e anche contro la popolazione civile.

L’America, che oggi non sappiamo, si sta ritirando dal suo ruolo di poliziotto di un mondo sempre più frammentato, mentre, dal Golfo all’Asia meridionale, cresce il ruolo delle potenze regionali. Appesantisce anche la pandemia che ha cambiato le priorità. E, dopo gli anni della tempesta trumpiana, gli Stati Uniti, più che insegnare al mondo lezioni di democrazia, devono innanzitutto pensare a riparare le ferite interne che, pochi mesi fa, hanno scosso le sue istituzioni.

15 aprile 2021 (modifica il 15 aprile 2021 | 21:58)

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